Lo studente di economia del primo anno inizia a familiarizzare con i concetti teorici dell’elasticità della domanda. In microeconomia, l’elasticità della domanda misura quanto la quantità acquistata di un bene reagisce a variazioni di prezzo: se un rincaro del 10% provoca un calo dei volumi superiore al 10%, la domanda è “elastica”; se la variazione dei volumi è minima, la domanda è “rigida” o “an-elastica”.
Se andrà a lavorare in finanza d’impresa, circa 4-5 anni più tardi, lo studente si accorgerà che il concetto di elasticità della domanda è poco utilizzato nella pratica, ma viene sostituito dal suo elemento determinante: il pricing power, ossia la capacità di aumentare i prezzi senza erodere significativamente le vendite o la quota di mercato, che è, in sostanza, il riflesso strategico di una domanda poco elastica.
Il pricing power è quindi un vantaggio competitivo: dipende da fattori come brand, qualità percepita, costo di sostituzione, regolamentazione o scarsità dell’offerta. In pratica, conoscere l’elasticità dice “quanto” la domanda reagirà; valutare il pricing power spiega “perché” reagirà poco – e soprattutto se l’azienda può indirizzare quella reazione a proprio favore, aumentando i margini. Come abbiamo visto fanno aziende come Brunello Cucinelli, che hanno delle policies programmate di incremento annuale dei listini.
Inflazione e pricing power
Nel periodo post-Covid vi è stata un’impennata generalizzata dei prezzi, tant’è che anche i prodotti più commodity – alcuni settori dell’alimentare, alcuni settori dei beni di consumo non-food – sono riusciti ad incrementare i prezzi, nascondendosi dietro il mantra “c’è l’inflazione”.
Oggi però il fenomeno, per fortuna, è rientrato, e quindi c’è da attendersi che solo i marchi davvero forti possano continuare a far leva sul prezzo per sostenere i margini. Chi non ha pricing power, invece, si trova schiacciato: non può più nascondersi dietro l’inflazione generalizzata e vede restringersi i profitti.

Alcuni esempi
Ferrari ha annunciato, a Marzo scorso, rincari del 10% per i prodotti destinati al mercato USA. Non credo che Mr. Howard Cunningham Jr, titolare di una catena di negozi di ferramenta a Milwakee e dintorni, rinunci al sogno della sua vita per lo scomodo di dover sborsare 30.000 dollari in più per la sua Roma Spider.
Louis Vuitton ha provato a prendere la stessa strada, ma si è dovuta fermare a mezza via. A primavera 2025 ha alzato i prezzi in Europa tra il +3% e il +8% su modelli selezionati come Speedy e Neverfull, ma non ha potuto coprire tutto il line-up e ne sta avendo – come peraltro accade per altri brand del lusso – un contraccolpo. Ne parlava giorni fa il WSJ.
Nestlé, il mega-gruppo elvetico del settore food, ha spinto sul prezzo dei prodotti a base di caffè e cioccolato: i ricavi sono in debole crescita, ma i volumi cominciano a calare: -1,1%.
Secondo Warren Buffett, il pricing power è una delle cose principali da considerare quando si sta valutando una decisione di investimento. In quali settori cercarlo?
Farmaceutico e medicale: aziende come Roche, Novo Nordisk, Pfizer etc. godono di protezioni brevettuali, di ingenti investimenti in R&D e di elevati costi di switching, per cui rappresentano un segmento da tenere sotto osservazione. Anche se qui c’è sempre il rischio del patent cliff, ossia della scadenza delle coperture brevettuali, che può aprire la strada ai prodotti c.d. generici.
Infrastutture: Snam, Terna, Autostrade per l’Italia (sono quotate le sue obbligazioni, dopo l’acquisizione da Atlantia): aziende con tariffe legate a contratti con incrmenti programmati e indicizzati all’inflazione.
Software: aziende come Microsoft, SAP, Salesforce hanno un discreto pricing power grazie all’effetto rete (l’utente non può abbandonarle, se no esce dalla sua rete di contatti professionali) e agli elevati costi di integrazione (una volta che un’azienda ha optato per SAP per la sua gestione informatizzata, avrà poca voglia di smontare tutto e passare ad un operatore concorrente.
Aziende Dostoevskij: prodotti beverage alcolici e/o premium (Campari, Diageo, Pernod Ricard), settore del tabacco (BATS, Altria) o settore del gambling: si tratta di aziende con prodotti che generano dipendenza o comunque che sono fortemente legati a delle ritualità radicate.
Settori a rischio
Telecom (Iliad, TIM): guerre di prezzo continue, bassa differenziazione.
Airlines & shipping: tariffari variabili, concorrenza sui costi.
Metalli, oil & gas, agribulk: il prezzo lo fa il mercato delle commodity, non l’azienda.
Auto: intensa concorrenza, incentivi commerciali ciclici, switching tecnologico incerto, costi fissi elevati e rigidi.

Una check-list dedicata
Vi sono una serie di elementi da valutare per verificare il pricing power di un’azienda. Una delle prime cose da fare è leggere gli ultimi 4-5 bilanci e verificare che il margine lordo si sia mantenuto costante nonostante i periodi di inflazione e – dal 2024 – re-flazione.
Altri fattori da tenere sotto controllo sono:
1. Brand autorevole e riconoscibile
Il marchio ispira fiducia e gode di una reputazione tale da spingere i clienti a pagare un sovrapprezzo.
2. Aumenti di prezzo (quasi) indolori
Storicamente riesce a ritoccare i listini senza perdere quote di mercato né subire crolli di volume.
3. Scenario concorrenziale limitato
Opera in un settore oligopolistico o comunque con barriere all’ingresso elevate che frenano nuovi entranti.
4. Offerta unica o insostituibile
Prodotti/servizi difficili da replicare – che sia per design, formulazione, esperienza utente o servizio post-vendita.
5. Margini in salute (e crescenti)
Margine lordo, operativo o ROIC stabili o in miglioramento su base pluriennale: segnale che i prezzi coprono i costi e generano valore extra.
6. Clientela fedele con alta retention
Bassi tassi di abbandono, acquisti ricorrenti, community o membership che consolidano il legame col brand.
7. Leadership di mercato
È il numero 1 (o un solido n. 2) nel suo segmento, con scala e visibilità tali da orientare l’intero settore.
8. Alti costi di switching
Passare a un concorrente richiede tempo, denaro, formazione, integrazione tecnica o perdita di dati/benefit.
9. Quota di mercato difesa (o in crescita) nonostante i rincari
Dopo ogni aumento prezzi, la share rimane stabile o addirittura migliora: prova pratica della leva di prezzo.
10. Vantaggi legali o tecnologici difendibili
Brevetti, formule proprietarie, licenze regolatorie o know-how che impediscono la copia diretta e consolidano il fossato competitivo.
Pricing power e prezzo
Ovviamente quanto detto sopra non significa: correre ad acquistare tutte le aziende ad elevato pricing power. I fondamentali di valutazione restano sempre validi, il pricing power è semplicemente una garanzia di mantenimento di condizioni operative positive: ritorno sull’investimento > del costo del capitale.
La cosa che andrebbe fatta è crearsi una lista di aziende ad elevato potere di prezzo, inserirle in uno dei sistemi di portafoglio gratuiti on-line (Yahoo! Finance va benissimo) e tenerle monitorate in attesa del momento giusto per entrare – o, meglio, per iniziare l’ingresso graduale sul titolo.
Se le aziende hanno pricing power, spesso anche le loro azioni ne hanno.
