Con sedi direzionali a Londra e Melbourne, ed attività in 35 paesi ed oltre 60.000 dipendenti, Rio Tinto è uno dei colossi globali nella ricerca, estrazione e commercializzazione di materie prime. Costituita nel lontano 1873 per lo sfruttamento delle risorse minerarie del Rio Tinto in Andalusia, un fiume dalle acque cariche di minerali e dal caratteristico colore rossastro, l’azienda detiene oggi posizioni di leadership nel ferro, rame, alluminio e in una serie di altri materiali quali uranio, molibdeno, titanio, boro, salgemma e diamanti.
Nel 2024 ha realizzato ricavi per circa 54 miliardi di euro, un valore del giro d’affari che, accorpando il crollo e il boom degli anni 2020/21, rappresenta una sorta di dimensione “steady state” per il Gruppo. Elevata è, invece, la varianza del margine industriale, che risente dell’andamento dei prezzi globali delle materie prime (allego qui l’indice dei prezzi globali dei materiali ferrosi per una comparison a occhio) e, più o meno a cascata, dei margini lordi e netti.
Nel 2024, ha realizzato un Ebitda di circa 24 mld di Euro, ben oltre il 40% del valore dei ricavi, realizzato per poco meno del 70% dal settore dei materiali ferrosi, per il 15% dall’alluminio, il 10% dal rame e per il resto dagli altri materiali estratti e venduti.
Oltre ai prezzi delle materie prime (una variabile esogena per il Gruppo), le performance sono determinate anche dai costi dell’energia e dal grado di purezza dei materiali estratti, che tende a degradare man mano che i siti minerari vengono sfruttati. Per questo motivo, e per tenere sempre alto il livello delle riserve potenziali di materiali, Rio Tinto investe costantemente in nuove concessioni minerarie.


Ordo ab chao
Leggendo le relazioni del management all’assemblea degli azionisti di Rio Tinto viene proprio in mente l’antico motto latino che – non a caso – è stato fatto proprio anche dalla massoneria.
Da oltre 150 anni, infatti, il business del Gruppo è strettamente legato ad una incessante, continua, politicamente sensibile ricerca di nuovi giacimenti minerari da sfruttare in ogni parte del mondo, soprattutto quelle in paesi “emergenti” con elevati livelli di incertezza, rischi legali, e pericolose commistioni tra economia e politica: caos, in una parola.
Con mezzi che a volte hanno destato qualche perplessità, però, Rio Tinto trasforma queste situazioni avventurose in un cash flow operativo medio che – eccezioni in un senso e nell’altro a parte – viaggia nell’intorno dei 15 miliardi di euro l’anno e copre circa 5-7 miliardi l’anno di investimenti, di cui 2, in media, per le nuove concessioni minerarie.
Da segnalare, a questo proposito, circa 10 miliardi di investimenti in attività legate all’estrazione di litio tra il 2022 e il 2024, tra cui l’acquisizione di Arcadium Lithium, un attore chiave di questo segmento, il cui perimetro è stato integrato al 100% lo scorso marzo per una spesa complessiva di circa 7,1 miliardi di Euro a fronte di ricavi per 950 milioni ed un Ebitda di poco più di 300 milioni. L’operazione segnala, con un multiplo Ebitda > 22x, le aggressive attese del mercato sul segmento del litio – legate alle batterie e alla transizione energetica – specie se paragonata con il moltiplicatore a cui è attualmente possibile acquistare azioni della casa madre, che passano di mano a un ratio EV/Ebitda di 4,5x.
Dividendi su cui contare
Al 31 dicembre 2024, Rio Tinto mostra una cassa positiva per circa 7 miliardi e debiti finanziari per circa 12 con scadenze opportunamente dilazionate oltre i 5 anni; a fronte di un patrimonio netto di 50 miliardi ed una capitalizzazione di mercato di 83 (Prezzo/Libro 1,8).
Grazie a questa solidità, il Gruppo distribuisce, in media, il 60% dei suoi utili; anche se intorno a questa media la varianza è abbastanza elevata: si va da una distribuzione del 90% (2022) al 38% (2018). Anche il dividend yield risente di questa volatilità, con rendimenti che, comunque, difficilmente scendono sotto al 5%.

Valutazione
La banca d’affari Jefferies ha di recente emesso un downgrade sul titolo, passandolo da Buy a Hold, in ragione di dubbi sulla tenuta dei prezzi dell’acciaio anche a causa del clima di incertezza ingenerato dalle baruffe doganali di Trump – che, come abbiamo visto, determinano ancora il 70% dell’Ebitda del Gruppo -e delle incertezze legate ai notevoli investimenti dichiarati in nuova capacità.
Ovviamente, tutto questo non inficia la bontà del business: ma a noi spetta, a questo punto, chiederci se l’attuale prezzo 51 euro per i titoli scambiati a Francoforte, che comunque sono quelli di Londra in GBP venduti al cambio corrente, rappresenta un entry point vantaggioso.
Prendendo come base il flusso di cassa operativo del 2025, atteso a 15 miliardi, e ipotizzando una crescita del 3% (management guidance) per il primo stadio (fino al 2030) della valutazione, con delle piuttosto pesanti Capex di 10 mld nel 2026 e poi di 7 mld l’anno e un Terminal Value 2031 calcolato sulla base di una crescita allo Stage 2 del 2%; il tutto al costo equity (conservativo) del 9%; il Fair Value viene determinato a 68 Euro.
Visto che il titolo scambia attorno a 51 Euro, questo valore definisce un bel margine di sicurezza (33%) che, corredato alla qualità del business e al bel dividend yield di solida e antica tradizione, potrebbe permettere di rispondere “si” alla domanda di cui sopra: potremmo effettivamente essere in presenza di un buon entry point per Rio Tinto.

Kill the baby
Quali sono i fattori che potrebbero far fuori questa bella storia? Proviamo a darne un elenco, tanto per ricordarci che non si può mai stare tranquilli:
- Rischi di esecuzione dei progetti: il Gruppo è impegnato in vari progetti complessi in paesi ad alto rischio – una delle sue miniere principali in fase di sviluppo si trova in Guinea – e tra rischi legali, di avanzamento di costruzione delle varie infrastrutture (ferroviarie comprese) di supporto oltre che ai sempre presenti rischi politici; c’è davvero l’imbarazzo della scelta;
- Collasso dei prezzi delle commodity: già oggi il titolo risente del rallentamento del principale cliente: la Cina. Se i prezzi dell’acciaio dovessero crollare, quel famoso cash flow organico di 15 miliardi/anno verrebbe tosato per bene e a quel punto addio al Free Cash Flow di questo livello;
- Rischi sociali e ambientali: come Norsk Hydro, anche Rio Tinto sta cercando di produrre alluminio con energia da fonti rinnovabili, ma è piuttosto indietro rispetto al competitor norvegese. Problemi legati all’immagine non proprio “ESG-compliant” del Gruppo ne potrebbero diminuire l’appeal.