Per motivi legati alla mia eredità familiare, sono sempre stato affascinato dai meccanismi di funzionamento del cervello. Circa un quarto di secolo fa acquistai una mia copia personale del DSM, il “Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders”, e devo dire che è una lettura davvero utile, qualsiasi sia il vostro mestiere. Per chi si occupa di investimenti, oltre alla metafora di Mr. Market affetto da disturbo bipolare, c’è da considerare, ad esempio, il profilo di soggetti che mostrano eccessiva dipendenza dal mini-delirio narcisistico “di avere ragione” perché il “titolo X è chiaramente sottovalutato ma il parco buoi dorme e io sono l’unico che se n’è accorto”.
Legare ad una decisione finanziaria un processo estremamente noioso ed analitico come una vera e propria due diligence, invece, consente alla corteccia prefrontale di riprendere il controllo e di mettere in atto quel processo di setaccio che riduce in maniera sensibile il rischio legato all’investimento. La maggior parte degli investitori retail, al contrario, legge un titolo, dà un’occhiata al grafico e si affida all’intuizione – o al brivido – di avere “ragione”, in questo negando un aspetto fondamentale della realtà che circonda qualsiasi azienda o qualsiasi titolo: la complessità. Avete presente “il battito d’ali di una farfalla che scatena l’uragano”? Ecco, quello: solo che l’uragano si può scatenare sulle aziende che avete in portafoglio.

Business & Moat
Ovviamente, la premessa è che il business dell’azienda deve essere qualcosa da voi comprensibile. Meglio se ne siete clienti, o se, quantomeno, la dinamica dell’attività rientra nel vostro circolo di competenze. Capire e modellare un’azienda di prodotti di consumo, del lusso, del settore delle bevande o del betting (per tornare alle scariche di adrenalina) è certamente più fattibile che comprendere davvero un’azienda di prodotti farmaceutici o di microchip per l’AI. A questo riguardo, vi sono delle domande che occorre farsi prima di procedere oltre:
- Che problema l’azienda risolve per i propri clienti?
- I ricavi sono ricorrenti o una tantum? (Zara vs. Stellantis, ad esempio)
- Chi sono i competitor? Come si distingue l’azienda vs. di essi?
- Qual è il suo vantaggio competitivo? Il prodotto è un unico (es. Hermès) o un me-too (Opel)?
Leggere qualche blog dedicato ai prodotti può essere d’aiuto. Anche capire se hanno problemi: i meno giovani ricorderanno il flop della Mercedes quando si cominciò a sapere che la sua Classe A si ribaltava: qualcosa del genere sembra stia accadendo per l’Alfa Romeo Tonale, anche se il brand ormai è talmente “sottile” all’interno del Gruppo Stellantis che non dovrebbe cambiare molto. E comunque il settore dell’auto – tutto, Tesla compresa – sembra davvero entrato in una fase declinante di lungo periodo, per cui forse meglio tenersene alla larga.

Salute finanziaria
Prima di destinare un solo euro a un titolo azionario, vale la pena passare in rassegna le aree critiche dei bilanci ed è ovviamente un bene non fermarsi ad un unico esercizio.
Per quanto mi riguarda, osservo:
- Struttura di conto economico: valore aggiunto, costi di struttura, Ebitda, ammortamenti ed Ebit e – molto importante – incidenza degli oneri finanzari.
- Andamento negli anni dei ricavi e dei principali margini, ed analisi dei ricavi per segmenti d’attività (ad esempio Apple ha un problema di eccessiva dipendenza dal “vecchio” iPhone, un prodotto che esiste ormai da 18 anni.
- Investimenti in capitale circolante (crediti e magazzino) e relativi tempi di rientro.
- Attivo fisso (investimenti tecnici) e velocità di obsolescenza degli impianti nel settore. Altro aspetto interessante riguarda il rapporto tra investimenti annuali (Capex) e ammortamenti: un valore >1 indica un’attività “in sviluppo”, per cui uno si aspetta che se si investe, entro qualche anno poi si cresca in termini di ricavi o di margini (per questo è importante leggere bilanci su più esercizi).
- Flussi di cassa: fondamentali sono i flussi di cassa generati dalla gestione operativa, quelli assorbiti dagli investimenti, e quelli rimanenti (free cash flow) che sono quindi a disposizione del business per gli investimenti o degli azionisti per i dividendi.
Sempre nell’area dei flussi di cassa, occorre verificare che l’azienda non faccia eccessivo trading per azioni proprie: ad esempio, negli USA quest’attività serve per mettere a disposizione dei manager i titoli per i piani di stock-option, ed è quindi una voce che andrebbe decurtata dagli utili.
Dato molto importante, infine, è l’analisi della posizione finanziaria netta (indebitamento finanziario) negli anni: questo elemento è di particolare importanza perché a volte vedete aziende che fanno un sacco di utili c.d. “adjusted”, ma poi, in un’ottica pluriennale, continuano ad indebitarsi a tassi di crescita superiori alla crescita di ricavi e utili. Sono ovviamente situazioni non sostenibili sul lungo termine. Boeing è un caso di questo tipo.
Management
Le aziende sono guidate dalle persone, ed è questa una delle cose più importanti da considerare. Anche in questo caso, l’ottica pluriennale ci aiuta: un business che cambia spesso i propri vertici, molto probabilmente non ha trovato la “guida” giusta, e la cosa è di per sé un rischio.
Altra cosa interessante da fare è leggere le relazioni agli azionisti nel corso del tempo, e verificare se determinate cose che vengono dichiarate negli anni precedenti vengono poi fatte – e con quali risultati – negli anni successivi.
Conviene sempre, inoltre, di googlare il nome dei top managers per verificare che non siano incappati in problemi o scandali finanziari. In ritardo mi accorsi, ad esempio, che il gruppo del lusso Kering era incorsa in problemi fiscali relativamente al brand Gucci nel 2019, problema che venne chiuso con una transazione di 1,3 miliardi di euro con il fisco italiano; ed ha poi ripetuto l’exploit nel 2024, sempre con il fisco italiano, per omessa dichiarazione relativa al brand McQueen.
Mappa dei rischi
Una delle aree che non dovrebbero essere tralasciate è quella che riguarda i fattori di rischio. Per quanto mi riguarda, cerco di individuare i tre principali elementi che possono avere un impatto serio sul business – ad esempio, disruption tecnologica, aspetti regolamentari o dipendenza da mercati o fornitori chiave – e cerco di capire quanto sia facile “uccidere la gallina dalle uova d’oro”.
Pensate un po’ a Nokia nei primi anni 2000, e cosa ne è rimasto oggi. Oppure, più banalmente, dell’impatto che i prezzi delle materie prime possono avere su Eni o su OMV, due eccellenti aziende che erogano dividendi con regolarità.
Detto con sincerità, ad esempio, ultimamente sono un poco preoccupato per il destino di una super-azienda come LVMH. Mi chiedo: “ma non è che la de-globalizzazione e la parcellizzazione delle aree di commercio mondiale possano ridurre la domanda dei prodotti del Gruppo, specie in Asia; ed al contempo creare un problema di innalzamento dei costi a causa del re-shoring delle filiere produttive globali? Non sarà inoltre che i consumatori cinesi, allontanandosi gradualmente anche a causa dei dazi dai prodotti del colosso francese del lusso, non comincino ad avvicinarsi e per questa via a rendere fashionable i prodotti dei brand che stanno pur sorgendo a casa loro?”
Sono, come si vede, tutte domande lecite, e che meritano delle azioni correttive sui modelli di crescita dell’azienda per individuare fino a che punto il titolo può perdere valore. Esercizio che può non essere difficile, se effettuato anche solo sul conto economico e sul parametro di valutazione del price/earnings.
