Poche figure in Italia sono mitologiche e complesse come quella di Enrico Mattei. Figlio di un brigadiere dei carabinieri di Civitella nella Marsica, in Abruzzo, è stato imprenditore, figura di primo piano della Resistenza e poi grande manager di stato nell’Italia del boom economico. Venne nominato commissario liquidatore dell’Agip, azienda italiana dei petroli creata dal regime fascista e – mostrando subito una grande e coraggiosissima indipendenza di giudizio – si accorse che l’Agip non andava liquidata e venduta a pezzi per poche lire ma che era un’azienda potenzialmente florida e che poteva dare energia alla ripresa italiana del dopoguerra.
Ovviamente la mancata liquidazione lo mise nell’occhio del ciclone e lo rese poco simpatico a certi interessi d’oltreoceano e – sì insomma, sapete come andò a finire. Quello che era vero ai tempi di Mattei lo è ancora oggi: l’Italia è un magnifico Paese dai cento e cento campanili, allungato in mezzo al Mediterraneo e attraversato da montagne e per funzionare ha bisogno di infrastrutture ed energia, tanta energia. Ed Eni è uno dei leader globali nella produzione di idrocarburi, ancora dietro alle c.d. “Sette sorelle” come si diceva negli anni ‘60.

Il business
La principale attività di Eni è l’esplorazione, l’acquisizione, la lavorazione e la vendita di idrocarburi. Questa attività genera circa l’80% dei profitti del Gruppo e dipende molto dall’andamento dei prezzi delle materie prime e dalla domanda di prodotti finiti (carburanti), che a sua volta dipende dal ciclo economico. Ovviamente, è un business molto influenzato dalla situazione geopolitica globale ed è uno dei “determinanti” dell’inflazione in quanto gli idrocarburi sono presenti nelle filiere produttive di quasi tutti i beni di consumo e industriali oltre che del loro trasporto.
Il 2022 e il 2023 sono stati anni che hanno visto un’esplosione dei prezzi (gas in primis, ma anche derivati del petrolio in quanto per molte applicazioni sono dei sostituti) a causa della guerra in Ucraina, ma oggi la situazione sembra rientrata in una sorta di “sospesa normalità” tra l’incudine del rallentamento globale delle attività a causa della de-globalizzazione e il martello di sempre possibili conflitti “cinetici”. Le attività c.d. E&P (Exploration and Production) di Eni riguardano l’esplorazione, lo sviluppo e la produzione di petrolio e gas naturale in oltre 40 paesi, tra cui Italia, Libia, Egitto, Nigeria, Angola, Mozambico, Kazakistan e Stati Uniti. Dal 2023 Eni è uscita dal mercato russo, da cui acquisiva gas naturale, ed ha diversificato le importazioni di gas e GNL (gas naturale liquefatto) da paesi quali Algeria, Egitto, Mozambico e Qatar. Dopo un periodo di iniziale stress su questo fronte – che i consumatori italiani hanno ben presente dati i costi delle bollette che erano letteralmente esplosi – oggi la situazione sembra rientrare in una sorta di nuovo equilibrio geopolitico anche per il comparto del gas.
Per quanto riguarda il business della distribuzione, le attività che erano appartenute alla storica insegna Agip sono oggi confluite nella divisione Enilive, una società che gestisce oltre 5.000 stazioni di servizio in Europa ed ha attivato una rete di ricariche per i veicoli elettrici.
La divisione Plenitude invece è dedicata alla produzione di energia rinnovabile e alla gestione delle forniture energetiche alle utenze domestiche.

I business “satellite” di Eni
Un paio d’anni fa, Eni aveva pianificato la quotazione in borsa di Plenitude. Tuttavia, a causa delle condizioni di mercato poco favorevoli per il segmento delle rinnovabili dovuto allo stallo della domanda di veicoli elettrici, alle politiche incerte sulle rinnovabili, alla riduzione della pressione mediatica sull’emergenza ambientale imminente etc, l’operazione è stata rinviata. Anche Greta Thunberg si è rilassata sulla materia, e magari adesso invece di “vedere il Co2” si vede con qualche ragazzo. Tanti cari auguri.

Nel frattempo, Eni bada al sodo e a quello che nel comparto delle rinnovabili funziona davvero ed ha adottato una strategia alternativa per valorizzare Plenitude, aprendo il capitale a investitori istituzionali. Nel marzo 2024, il fondo svizzero Energy Infrastructure Partners (EIP) ha acquisito una partecipazione del 7,6% in Plenitude, valutando l’intera società oltre 10 miliardi di euro.
Successivamente, Eni ha avviato trattative con altri fondi, tra cui Apollo Capital Management, HitecVision e Trilantic Europe, per la cessione di un’ulteriore quota minoritaria, stimata intorno al 10%. Queste operazioni rientrano nella strategia di creazione di società autonome focalizzate su specifici segmenti della transizione energetica, con l’obiettivo di attrarre capitali e accelerare la crescita.
Parallelamente, Eni ha concluso un’importante operazione con KKR, vendendo una partecipazione del 30% in Enilive per 3 miliardi di euro. Questa transazione ha valorizzato tutta la divisione a circa 11,75 miliardi di euro. Se andate a fare rifornimento alle stazioni Eni, trovate già il biocarburante HVO, un prodotto che sostituisce il diesel tradizionale e che deriva dagli olii esausti derivanti dal comparto alimentare (sì, quello che buttiamo nel lattone di policarbonato dopo che abbiamo fritto il pesce) o da quello agricolo: si tratta di un prodotto dalle eccellenti qualità caloriche e vale già circa 1,2 miliardi di ricavi per Enilive.
Queste operazioni dimostrano l’impegno di Eni nel finanziare la transizione energetica attraverso la valorizzazione delle sue controllate specializzate, senza ricorrere immediatamente alla quotazione in borsa. E, per l’investitore, mostrano come comprando azioni Eni si entra in possesso di attività ad elevato potenziale di crescita prospettica a valori relativamente contenuti.
Ai valori di borsa attuali, Eni capitalizza circa 39 miliardi di euro, quasi come quello che i fondi hanno pagato per le due divisioni Enilive e Plenitude: a dimostrazione che il disagio dei mercati per il business energetico tradizionale è ancora forte – mentre in bilancio Eni dichiara che le attuali riserve di idrocarburi tradizionali, al netto di eventuali ulteriori scoperte di nuovi giacimenti, bastano ancora fino al 2036. Nella valutazione del mercato di Eni c’è come l’ipotesi che ad un certo punto nei prossimi anni le auto a combustione interna possano essere vietate. Ipotesi inquietante non foss’altro per l’elemento totalitario implicito e per il rischio che l’alternativa elettrica non sia davvero praticabile ancora per molto: provate a fare Roma Milano d’estate con una Tesla.

Per l’azionista
Io sono un sostenitore delle azioni Eni. Comprandole oggi, pagate poco più del 70% del patrimonio netto e circa 2,5 volte l’Ebitda. Per il 2025 il dividendo per azione è previsto a oltre 1 euro – uno yield dell’8% circa – con una situazione debitoria del tutto rassicurante: debt/equity ratio al 50% da oltre 10 anni. Il titolo rappresenta un perfetto esempio di “dividend aristocrat” italiano con uno yield che è sceso al 3,5% solo nell’annus horribilis post-Covid.

Per quanto riguarda il potenziale upside, beh: non comprate Eni per quello: il titolo va su e giù molto meno dell’indice di borsa (Beta < 0,9) ma se acquistato in un dip di medio periodo garantisce un bel rendimento. E, dato che il 30% dell’azienda è ancora di proprietà del Tesoro – sempre notoriamente a caccia di quattrini – ci dovrebbe essere la ragionevole certezza che questa politica continui per il futuro: a spanne, Eni versa allo Stato una miliardata l’anno di dividendi (esentasse 😉 oltre a qualche altro miliardo di imposte, dato il suo tax rate piuttosto pesante che ultimamente ha raggiunto il 50% dei profitti a causa delle windfall tax sugli extraprofitti dei costi del gas.
Si, ma quanto vale?
Per Eni ho fatto un esercizio di questo genere: mi sono chiesto di quanto deve calare il cash flow annuale free, ossia al netto degli investimenti, per giustificare il prezzo attuale del titolo, ossia 12,6 euro circa?
Sono partito da un dato di cash flow free medio di 5,28 miliardi (per il 2025 gli analisti prevedono 6 miliardi di euro) e da un tasso equity del 7,5%, adeguato date le dimensioni ed il Beta di Eni. Ebbene: il prezzo attuale si giustifica se il flusso di cassa scende del 6% l’anno per un periodo indefinito nel futuro, andando sotto i 10 milioni di euro nel 2128. Insomma: se non credete allo scenario No-Oil, Eni nel vostro portafoglio ci può stare. E, mentre aspettate il 2128, potreste anche pensare di leggere Petrolio di Pier Paolo Pasolini. Secondo un magistrato, Vincenzo Calia, la chiave della morte di Enrico Mattei si trova tra le pagine di quello strano romanzo rimasto incompiuto.
