I dati sul patrimonio degli italiani si presentano in un formato semplice. 10.000 miliardi di Euro, mal contati, di cui circa il 60% corrisponde ad immobili residenziali. La propensione degli italiani all’investimento immobiliare è radicata, con un’alta percentuale di proprietari di case rispetto ad altri paesi europei. L’acquisto di immobili è spesso considerato non solo come una necessità abitativa, ma anche come una forma di investimento e protezione del capitale contro l’inflazione e la volatilità dei mercati finanziari.
La casa è un bene che, per sua natura, riflette una condizione di stabilità della vita che, purtroppo – o per fortuna – sta venendo meno. Se alla fine degli anni ’80 i “Quattro amici al bar” di cui cantava Gino Paoli smisero progressivamente di pensare a cambiare il mondo e si rintanarono in casa grazie ad “una donna ed un impiego in banca”; oggi è proprio il mondo che cambia che sta facendo recedere il concetto della casa per la vita finanziata con il mutuo trentennale.
I mutamenti negli assetti familiari, l’invecchiamento della popolazione e i fattori di mobilità lavorativa hanno determinato la crescita del mercato degli affitti, soprattutto tra i giovani. Una ventina di anni fa il mercato delle locazioni residenziali permanenti valeva circa 5 milioni di unità immobiliari, che oggi sono diventate quasi 7 milioni. Per molti, quindi, l’investimento in immobili sta diventando anche una forma di allocazione del capitale, con rendimenti annui teorici tra il 3% e il 6%.
Ma, in termini puramente finanziari, è la cosa giusta da fare?
Inefficiente e illiquido?
Nel dinamico mercato degli affitti, la gestione di un immobile diventa un affare che può richiedere un notevole impegno. Le esigenze lavorative mutano e gli inquilini se ne vanno, gli immobili si deteriorano e vanno sistemati, la distinzione tra spese ordinarie (a carico dell’inquilino) e straordinarie (a carico del proprietario) può dare adito a discussioni. Il tutto, senza considerare gli insoluti, i ritardi nell’attuazione degli eventuali sfratti, i periodi a reddito zero tra un conduttore e l’altro, e le esigenze di ripristino ed adeguamento per le mutate esigenze del nuovo inquilino.
La casa, inoltre, è un bene che può subire deprezzamenti e richiedere molto tempo (e oneri di agenzia e notarili) prima di essere venduta.
Da quanto sopra, ne consegue che il possesso di immobili come beni di investimento non sempre è ottimale a livello di gestione delle finanze personali o familiari. E, per molte famiglie italiane, esso rappresenta una parte preponderante del patrimonio, rappresentando anche un fattore di concentrazione del rischio.
Cosa sono i REIT
Immaginate di sostituire il possesso dell’immobile che concedete in affitto con un portafoglio differenziato di immobili in varie località e di varie tipologie (residenziale, commerciale, uffici, hotel, strutture sanitarie, etc), mantenendo il rendimento reale al netto di oneri accessori e fiscali ed eliminando completamente impegni, seccature e… telefonate dei vicini. Acquisendo, per di più, in liquidità, che potete considerare anche come possibilità di liquidazione parziale dell’investimento.

Un Real Estate Investment Trust (REIT) è una società che possiede, gestisce o finanzia immobili che generano reddito. I REIT permettono agli investitori di partecipare ai profitti del settore immobiliare senza dover gestire direttamente le proprietà. Queste società raccolgono capitali da investitori privati e istituzionali e li investono in un portafoglio diversificato di proprietà immobiliari, come uffici, centri commerciali, appartamenti residenziali, hotel e strutture sanitarie.
In Italia, l’equivalente dei REIT sono le SIIQ (Società di Investimento Immobiliare Quotata), introdotte nel 2007. Sebbene le SIIQ godano di un regime fiscale agevolato a condizione che rispettino determinati requisiti, come la quotazione in borsa e la distribuzione di almeno l’85% degli utili derivanti dalla locazione di immobili, le società immobiliari quotate italiane al momento sono solo due: IGD, che detiene un patrimonio di circa 2 miliardi di Euro in centri commerciali, finanziati da mutui per circa il 50%; e la piccola Next RE, che ha un patrimonio di natura mista di circa 130 milioni di Euro con mutui per circa 60 milioni.
Tipi di REIT
Per chi dovesse cominciare a considerare l’investimento immobiliare mediato da uno o più REIT, ma non volesse discostarsi troppo dall’esposizione diretta alla proprietà immobiliare, è opportuno precisare che vi sono varie tipologie di REIT.
- REIT Azionari (Equity REITs): Possiedono e gestiscono proprietà immobiliari che generano reddito principalmente attraverso l’affitto. Sono il tipo più comune e investono direttamente in proprietà fisiche.
- REIT Ipotecari (Mortgage REITs): Forniscono finanziamenti per immobili attraverso l’acquisto di mutui o ipoteche. Guadagnano principalmente dagli interessi sui prestiti piuttosto che dagli affitti.
- REIT Ibridi: Combinano caratteristiche sia dei REIT azionari che di quelli ipotecari, investendo sia in proprietà fisiche che in mutui.
La distinzione, ovviamente, non è di pura accademia, anche perché l’investimento in REIT ipotecari, pur essendo potenzialmente redditizio, non rappresenta il possesso immediato e diretto degli immobili ma solo il diritto ai flussi di cassa derivanti dai mutui immobiliari.
L’analisi dei bilanci dei REIT
Per questo tipo di società, le metriche standard tipo prezzo/utili o utile per azione possono dare dei risultati fuorvianti. A tale scopo, i professionisti analizzano i conti economici dei REIT cercando di individuare i cash flow.
I principi contabili internazionali IFRS, infatti, impongono ai REIT di effettuare delle valutazioni indipendenti dei patrimoni immobiliari, unità per unità, alla data di presentazione dei bilanci. Tali valutazioni possono subire delle forti oscillazioni anche a parità di perimetro perché mutano dei parametri che non incidono, almeno nel breve periodo, nella capacità degli attivi di generare ricavi. Incrementi dei tassi di interesse, ad esempio, scontando i flussi di cassa prospettici rivenienti dagli affitti, possono provocare svalutazioni anche notevoli (nell’ordine del 5%) del patrimonio ed avere un impatto sul risultato di conto economico.
Questo impatto riduce l’utile disponibile, e quindi anche la possibilità della società di distribuire dividendi, ma non costituisce un esborso di cassa per cui, in un certo senso, la capacità di generare reddito per il tramite dei fondi disponibili per il reinvestimento potrebbe a livello nominale e prospettico anche aumentare.
La fiscalità dei REIT
Uno degli aspetti più affascinanti dei REIT, o meglio delle SIIQ nel contesto italiano, è il loro regime fiscale vantaggioso. Come in una partita a scacchi dove ogni mossa è studiata, il legislatore ha previsto per queste società un’esenzione dall’imposta sul reddito delle società (IRES) e dall’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) per i proventi derivanti dall’attività di locazione immobiliare. Ma, naturalmente, nulla è regalato: in cambio, le SIIQ sono tenute a distribuire almeno l’85% degli utili netti ai loro azionisti.
È un po’ come se lo Stato dicesse: “Vi alleggerisco il carico fiscale a livello societario, ma voglio che gli investitori beneficino direttamente dei frutti del vostro operato, così da tassarli subito dietro l’angolo”. Questo meccanismo non solo incentiva la trasparenza e l’efficienza nel settore immobiliare, ma rende anche le SIIQ uno strumento interessante per chi cerca rendimenti stabili e una gestione fiscale più agevole rispetto all’investimento immobiliare diretto.
Investire in REIT per il tramite degli ETF
Investire in ETF (Exchange Traded Funds) che replicano l’andamento dei REIT offre un modo semplice e diversificato per accedere al mercato immobiliare globale. Gli ETF sui REIT permettono agli investitori di partecipare ai rendimenti del settore immobiliare senza dover acquistare direttamente singoli titoli REIT.
Le grandi case specializzate negli ETF (iShares, Amundi, Vanguard) propongono prodotti che consentono una esposizione diversificata ai mercati immobiliari globali, permettendo di scegliere se restare sui mercati occidentali o rincorrere rendimenti anche nei mercati emergenti con dei costi annuali contenuti (0,3% – 0,5%) e dei rendimenti in termini di dividendi compresi tra il 2% e il 3%.
È ovvio che l’investimento diretto in REIT garantisce, in teoria, rendimenti superiori, in quanto non mediato dalla struttura dell’ETF, che ha pur sempre dei costi. L’investitore potrebbe procedere scegliendo un portafoglio di due-tre REIT di suo gradimento, e dedicare il resto delle somme a degli ETF ad esposizione più ampia. Come sempre, un certo grado di diversificazione consente di ridurre il rischio e di beneficiare di tutte le opportunità offerte dai supermarket finanziari odierni.